LA GEOGRAFIA “bambina” DI UNA CITTÀ

di Federica Melucci

Che cos’è per un bambino la città?

Spesso solo un luogo in cui gli viene impedito di esplorare e giocare perché ritenuto troppo pericoloso, uno spazio da percorrere esclusivamente in automobile e sempre in maniera sporadica e frettolosa seguendo i frenetici ritmi degli adulti.

Ci sono all’interno della città dei luoghi specializzati in cui i bambini, sotto l’attenta sorveglianza degli adulti, possono frequentare lo spazio urbano: parchetti pubblici, ludoteche ecc… dove i “rischi” e le avventure si riducono notevolmente così come il tempo del loro sostare.

Un tempo gli spazi dei bambini erano tutti luoghi non utilizzati o usati per altri scopi dagli adulti: i cortili, la strada, i giardini dei palazzi, i marciapiedi, le piazze, ecc…

In questi spazi il bambino veniva a contatto con la complessità della realtà allenando capacità e abilità e acquisendo quotidianamente nuove conoscenze e un’identità sociale dove la memoria e la conoscenza territoriale della città si arricchivano anche di particolari e di storie di vita vissuta divenendo quindi anche luoghi simbolici; purtroppo il massiccio aumento delle macchine e il crescere vertiginoso del tempo trascorso davanti a uno schermo hanno annullato quest’opportunità riducendo notevolmente la possibilità di vivere esperienze vere, reali dello spazio città e diminuendo il senso di appartenenza che ha conseguenze sul loro senso di collettività e di responsabilità civica futura.

La città viene percepita come qualcosa di avulso di cui i bambini ignorano bellezze, architettura, struttura e possibilità.

Anche le relazioni sociali sono sempre più privatizzate, ossia limitate a una stretta cerchia di amici, dove mancano completamente le amicizie di vicinato.

La scuola diviene dunque fondamentale per offrire ai bambini l’opportunità di ampliare le loro relazioni, i loro punti di vista e per conoscere la complessità, la varietà e la ricchezza che li circonda e aumentarne così la consapevolezza, la responsabilità e il senso civico.

In tutto questo si inserisce una nuova emergenza e urgenza: il clima e l’aspetto ecologico e sostenibile a cui la scuola e le nuove generazioni non possono sottrarsi.

La scuola quindi si pone come quell’anello di congiunzione tra le famiglie, i bambini e le amministrazioni locali, capace di attivare un’educazione partecipata.

Si tratta fondamentalmente di rendere visibile l’infanzia e il loro punto di vista rendendo effettivo il loro diritto alla cittadinanza e andare a suggerire nuovi approcci e nuove abitudini di vita nella consapevolezza che una città adatta ai bambini è una città adatta a tutti.

L’idea di città a cui ci si vuole avvicinare non è quella di una realtà ferma e immutabile, ma all’opposto in continua evoluzione e costante dialogo dove tutti i cittadini possono modificarla e trasformarla con progetti e azioni concrete in un’ottica di cittadinanza attiva.

Nella nostra Rimini servirebbero strade scolastiche in cui venga ridotta la velocità (e quindi il pericolo) o in cui venga negato l’accesso delle macchine in certi orari, bisognerebbe aumentare la cultura della mobilità sostenibile per migliorare la qualità della vita dei nostri bambini e ragazzi abbassando l’emissione di CO2.

Servirebbero luoghi in cui i bimbi possano avere spazi sicuri di autonomia e di esplorazione, servirebbe del verde, del “selvaggio” anche in città per non perdere quel contatto atavico e necessario con la natura, caratteristica che per fortuna Rimini presenta ancora, ma che va comunque sempre incentivata e aumentata.

Con quest’idea i bambini e le bambine della scuola dell’infanzia Gianfranco Zavalloni, dopo un lavoro di preparazione durato da novembre a febbraio all’interno delle aule, stanno uscendo per le strade della città effettuando piccole passeggiate.

Esplorano il territorio limitrofo a casa e a scuola mentre le docenti portano i bimbi e le bimbe a fare osservazioni accurate, rilevando problematiche e criticità e provando a ipotizzare soluzioni in un importante lavoro di mediazione culturale e sociale.

I bimbi per la prima volta riflettono su temi importanti e utilizzano strumenti di orientamento come cartine, mappe, bussole e con un po’ di creatività costruiscono rilevatori di suoni, rumori e di smog, occhiali dalle lenti ultra potenti, utilizzano schede di rilevazione, macchine fotografiche e piccoli taccuini per documentare poi usando la tecnologia indagano il reale facendo piccoli compiti di realtà.

L’intento sarà quello di trasformare i bambini in portatori di saperi e i loro saperi messi insieme formeranno una cornice di valori da condividere con tutti.

Ecco allora tutti i bimbi in sfilata con t-shirt con slogan eco green da condividere con i cittadini perché come dice Greta non si è mai troppo piccoli per fare la differenza e far sentire il proprio pensiero e la propria voce.

La street art come tramite, come alfabeto urbano caratterizzata da icone conosciute e dirompenti che hanno in loro la capacità di portare a tutti forti messaggi.

L’arte come mezzo per trasformare, plasmare la realtà, passare da qualcosa di brutto e rovinato a qualcosa di bello e utile in un’ottica di riultizzo.

Gli occhi dei bambini e il loro sguardo per svelare a tutti gli adulti che esiste una città ideale e che a piccoli passi si può realizzare, basta volerlo.