IL CI.VI.VO. IN FESTA

La scuola? Un bel posto in cui fermarsi ed essere comunità

Alla scuola chiederei innanzi tutto di insegnare
che cosa è bello, di divulgare l’armonia,
di spiegare il senso dei valori.
Roberto Vecchioni

Ho spesso pensato che far parte di una comunità volesse dire partecipare a eventi organizzati
dall’amministrazione locale e che poi quel sentire comune, quello stare bene insieme, mi facesse
riconoscere radicata nel territorio di appartenenza.
Oggi 17 giugno 2023 ho invece capito che ben più prezioso e importante è costruire quell’evento,
sporcarsi le mani, starci dentro con piedi e cuore, crederci, anche se è sabato mattina, c’è il sole e
l’aria profuma di vacanza.
A scuola da anni ci occupiamo di organizzare feste e piccole formazioni, ma qui la faccenda è
diversa, si tratta, da parte dei genitori, di abitare la scuola in maniera nuova, non da spettatori ma
da protagonisti.
La mattina appena sveglia ho pensato: “ecco, un’altra delle mie idee “bislacche” che mi
porteranno a sacrificare tempo ed energia”, però sentivo che era urgente, sentivo che se non
avevo fiducia io per prima, le cose sarebbero andate peggio e non sarei stata bene.
Allora eccomi pronta alle nove del mattino con l’entusiasmo come abito e una piccola cassa per
portare l’allegria della musica e forse riempire il silenzio della non partecipazione; con me, da
subito puntuale come un orologio svizzero, la collega Daniela che mi ha detto: posso fare poco, ma
quel che posso faccio!

Alle nove c’era già un babbo con il suo bimbo, poi due genitori di cui la mamma ha di recente
subito un intervento e insieme, lei con il braccio sano, lui con molta forza, hanno portato tanti
attrezzi e attrezzature, tanti e tante che sono serviti tre giri per poterli scaricare tutti e tutte dalla
macchina. Piano piano sono arrivati altri sorrisi e piatti pieni di ciambelle e torte da condividere,
poi un babbo con una cassa gigante e finalmente è partita la musica: una sveglia, come l’adunata
dei bersaglieri… è stato l’avvio dei lavori. In tempi diversi sono arrivati altri genitori e maestre e
tutti chiedevano con gentilezza e serietà cosa potevano fare, come potevano essere d’aiuto. Io
avrei voluto rispondere che niente, che già, l’essere lì, in quel preciso momento, era sufficiente a
far sperare in un futuro lucente e a riempire il mio cuore.
Ci siamo divisi in squadre e ognuno silenziosamente e diligentemente si è messo al lavoro anche se
già faceva caldo, anche se l’allergia alla polvere e ai piumini del pioppo dava fastidio.
Le cose da fare si moltiplicavano così come i sorrisi, alcuni babbi si fermavano a chiacchierare o a
mangiare qualche pizzetta di nascosto e allora le mamme li richiamavano all’ordine mentre i bimbi
giocavano e aiutavano facendo volte, più “danni” che altro; sembravamo proprio una famiglia
allargata in gita al lago o al mare… solo un po’ più accaldati.

È proprio vero che mentre si lavora e ci si sporca le mani ci si sente più vicini, tutti sapevamo che eravamo lì per i nostri bambini e che
con alcuni era un saluto, un regalo, dopo tre anni, ma non servivano le parole bastava l’esserci.
Alla fine, ne sono certa, quell’esserci è stato importante anche per noi, per noi adulti per non
perdere quel legame con il nostro essere stati bambini e crescere come educatori e maestri.
Capisco dunque che chi semina amore raccoglie felicità e che questa mattina di giugno servirà ai
bambini più di mille lezioni di educazione civica.
Alle 13 decretiamo la fine dei lavori, facciamo la foto di rito e come tessere di un puzzle
apparecchiamo con le coperte una tavola sull’erba appena tagliata che profuma di pulito e fresco,
ci sediamo in cerchio per vederci meglio negli occhi e fare una fotografia da archiviare nella
memoria a lungo termine quella che come un magazzino accumula i ricordi più importanti, quelli
da tenere, quelli che servono o potranno servire.

Ecco la scuola in cui fermarsi, quella che crea identità sociale, comune, quella che mescola i
confini, quella che mette l’accento sull’infanzia in un contesto più complesso e allargato di cultura
e comunità. L’augurio è che questa cultura così accogliente possa esserci sempre per i bambini, in
ogni ordine e grado scolastico che troveranno lungo il loro percorso, in una ricerca permanente di
educazione partecipata e interdipendente fra le diverse agenzie educative. Bisogna allora cambiare sguardo e credere alla dimensione del possibile, alla scuola piazza, alla scuola che
costruisce nuovi percorsi, alla scuola come luogo di incontro e dialogo che offre l’occasione di
riconoscersi nella diversità e alla partecipazione come strategia educativa, come essenza e
sostanza del nostro fare.

Il prossimo anno ci sarà, ne sono certa, la seconda edizione del Ci.Vi.Vo. in festa!